Alessandro Gassmann

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“L’odio è sempre più presente, in particolare sui social. L’insofferenza razziale è tornata a essere fortemente presente. Dobbiamo mantenere accesa l’attenzione, opporci all’indifferenza”.

“Da giovane ero aggressivo. Ora credo che la cosa più importante sia capire dove nasce l’odio”.

“A scuola ero una capra. Nel cinema sfruttavo il mio cognome e il fatto di avere un fisico fuori dal comune per guadagnarmi l’indipendenza economica. Ho iniziato tardi a ragionare in maniera adulta”.

“Mio padre era severo, ma allo stesso tempo generoso e buono. Era impossibile odiarlo. Non abbiamo mai avuto lo scontro generazionale. Aveva un’ironia sarcastica, cruda, cinica”.

“Conduco una vita quasi monacale. Vado a letto presto, mi alzo alle sette. La mattina è il momento in cui ho più energia e idee. La sfrutto al massimo, avendo una moglie (l’attrice Sabrina Knaflitz) che dorme. Sono bravissimo nell’alzarmi senza svegliarla. Mi dedico a 20 minuti di stretching con l’elastico, segue un caffè e infine preparo la colazione collettiva”.

“Nelle interviste parlo perché devo. Nella vita parlo pochissimo. Non amo che si invadano i miei spazi. Non mi piace avere a sorpresa gente in casa. Non parlo degli impegni, non frequento gente dello spettacolo. Vado in vacanza dove non ci sono italiani e non mi riconoscono. Sul set sono l’unico che apprezza il cestino in pausa”.

“Il segreto della mia felicità? Accontentarmi, essere amato, essermi costruito luoghi dove “recuperare”, dove passerò la pensione: uno in montagna, e uno al mare”.

“Fare l’attore non è una gara di bellezza, lo scopo è produrre emozioni. Io sono sempre stato attratto dai personaggi di una certa età”.

“Il coronavirus ha acuito problemi e difetti. La crisi economica è pesante, per alcuni terribile. Siamo un paese impaurito e disinformato, quello con meno laureati d’Europa”.

“Ho sempre amato prendere posizione. Non mi piace osservare e basta. Ma per anni non l’ho fatto pubblicamente, non è nel mio carattere. Diventare padre è stato un passaggio importante. Ho capito di fare un mestiere pubblico che mi consente di far sentire la mia voce. L’ho capito perché il centro della mia vita si è spostato su mio figlio. Quando è morto mio padre ho smesso di essere figlio per essere padre”.

“Ho sofferto di attacchi di panico. Il primo l’ho avuto in teatro. Poi sono passati grazie ai farmaci e all’analisi. Ho imparto che non devo essere io a risolvere tutti i problemi del mondo. Ho imparato ad affidarmi alle persone vicine. Mi restano piccole paure, per esempio quella dei cani, e la paura di nuotare dove non vedo il fondo”.

“Ero un ragazzo schivo e chiuso. Amavo stare da solo, nella natura. Mi ero iscritto ad agraria. Poi è capitato questo mestiere. Ma non ci credevo tanto, volevo solo essere indipendente. Continuo a essere spaventato, non tanto al cinema, ma al teatro perché faccio fatica a entrare in scena. Ho trovato la soluzione nel fare la regia. Mio padre mi ha obbligato a fare l’attore, lui è stato quasi costretto da sua madre a farlo. Mia nonna era un’insegnante ebrea che lo iscrisse all’Accademia Silvio d’Amico a sua insaputa”.

“Credo che il cinema faccia bene sia a chi lo vede, sia a chi lo fa. Quelli che fanno cinema invecchiano di meno perché, non avendo certezze nel lavoro, sono costretti a lambiccarsi per sopravvivere nel tempo”.

 

 

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