Ciclismo: Francesco Moser

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“Ai nostri tempi non bastava vincere il Giro d’Italia per essere un vero campione. Per essere considerato un fuoriclasse bisognava vincere ovunque. Nel ciclismo sono cambiate molte cose. Le squadre sono più numerose, le gare sono organizzate diversamente e anche la diretta televisiva influisce. Noi cominciavamo ad andare forte quando partiva la diretta tv. Il corridore è spesso telecomandato dall’ammiraglia, mentre noi avevamo potere decisionale”.

“Il ciclismo attuale è ricco di tecnologia: La tecnologia aiuta a trovare la condizione migliore”.

Parigi-Roubaix. “Ne ho vinte tre consecutivamente. E’ una corsa speciale. Ne ho vinta una da campione del mondo e una da campione italiano”.

“L’unico vantaggio per un corridore importante può venire dalla squadra, se è in grado di controllare la corsa. Altrimenti si arrangia e fa quello che può. Merckx aveva uno squadrone che tirava per tutta la corsa, a me non è mai capitato”.

“Giro d’Italia, un mondiale, le Roubaix, la Milano-Sanremo. Ognuna di queste vittorie completa un mosaico di successi nel quale metto anche i record dell’ora, che hanno la loro importanza. Il Giro era un successo che dovevo conquistare, anche per dare una risposta a quelli che dicevano che non l’avrei mai vinto”.

“Il carattere conta quando un corridore dimostra di essere capace di passare sopra le sconfitte e le avversità, che possono essere di tanti tipi, come ad esempio una caduta”.

“Le più grandi delusioni della mia carriera sono state: il secondo posto al Mondiale 1978, e il secondo posto al Giro d’Italia 1979, quello vinto da Saronni”.

“Ho iniziato con Merckx, Gimondi, De Vlamink che erano all’apice della loro carriera. Ho battagliato per anni con Saronni, Barochelli, Battaglin. Negli anni ‘80 mi sono imbattuto in Bernard Hinault e Greg Lemond. Ho fatto quel che si poteva contro questi grandissimi campioni.  Era un ciclismo più umano, diverso da oggi”.

“Ho cominciato a correre a diciotto anni. Prima vittoria al giro a Firenze al mio esordio, poi le prime classiche coi secondi posti alla Roubaix del 1974 e alla Milano-Sanremo del 1975. Fare il ciclista non era il mio sogno da bambino. Stavo bene in Trentino a fare il contadino. Ma evidentemente ero un predestinato”.

“Ho avuto una carriera senza nessun incidente particolare e la fortuna di fare sacrifici ed allenarmi senza problemi. Il ricordo più bello è senza dubbio quello del Giro del 1984. Mi giocavo tutto in quel giorno e in quella cronometro ho dato tutto ed è andata bene, un ‘emozione indescrivibile. Ricordo con piacere le tre vittorie al Giro del Lazio in un percorso stupendo tra Caracalla, i Fori imperiali e l’arrivo al Colosseo, anni in cui Roma era meravigliosa e meno caotica di oggi”.

“Saronni aveva un carattere difficile. Avevamo  temperamenti diversi, ma entrambi testardi. Abbiamo corso per anni da nemici alimentando una competizione che ha appassionato gli italiani e spronato noi a dare il meglio. Il ciclismo è sempre stato a caccia di rivalità e dopo Coppi e Bartali è toccato a noi aggiungere un po’ di sale agonistico a questo meraviglioso sport”.

a.s.

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