Claudio Coccoluto

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“Negli anni ’90 c’erano un sacco di serate, feste, dove ti chiamavano andavi a suonare. Negli anni 2000 le popstar hanno cominciato a vendere meno dischi. In quel momento i dj sono diventati più richiesti. In quel decennio c’è stata la grande espansione commerciale di Ibiza non più come meta della musica alternativa ma come luogo dei mega eventi, delle mega discoteche, i cartelloni per le strade”. 

“Ho esordito nel mondo radiofonico quando ancora avevo tredici anni. Mi ha sempre affascinato la possibilità di comunicare attraverso la musica. Per questo ho poi deciso di intraprendere la strada di dj da club, per avere quella risposta immediata da parte del pubblico che nella radio manca”.

“Il vero dj inizia la sua serata a casa, quando sceglie i dischi che mette nella sua borsa: le novità, i grandi classici. La serata perfetta non esiste, è qualcosa che devi e dovrai sempre inseguire”.

“Berlino è un posto importante per diverse ragioni artistiche, prima di tutto perché ha il rapporto spazio-prezzo più conveniente d’Europa”.

“Sono convinto che la bellezza ci salverà. Nella parola bellezza includo tutto il percorso che un individuo può fare alla ricerca della stessa o alla sensibilizzazione personale. Dove c’è bellezza c’è arte e sapienza, a partire dalla natura nella quale scorgiamo un intervento sovrumano fino ai manufatti dell’uomo che non sono che il modo che ha un individuo di elevarsi verso il divino, vincendo il nostro nemico naturale: il tempo”.

“La tecnologia ha radicalmente cambiato il modo di relazionarsi anche al cinema, alla TV, alle forme più creative e artistiche del marketing, appiattendo un po’ tutto verso il basso, dove il valore è la “quantità”, la Musica è solo la vittima più eccellente, ma non la sola che ha perso le sue intenzioni socio-filosofiche per diventare alibi dell’industria vecchia e nuova per abbassare gli standard di professionalità di un percorso creativo che voglia diventare prodotto, dignitosamente commerciabile e fonte di sussistenza dell’artista e delle professionalità collegate a questo processo. Come per tutte le cose che hanno riguardato la globalizzazione, la gente ha avuto il vantaggio economico della fruizione ma a discapito del valore intellettuale”.

“Viviamo la notte, uno spaccato privilegiato della società, perché ha un valore aggiunto di verità contrapposto all’ipocrisie della vita diurna. Comunque viviamo il nostro tempo con i suoi problemi che si specchiano nella pista da ballo. Economia divisa tra poco abbienti e super ricchi, egocentrismo vacuo del selfie “digito ergo sum”, cultura musicale casuale e orizzontale, sono le grandi influenze che hanno mutato la morfologia del club. La “cabina” è ora un palco farcito di led-wall, spara fiamme e coriandoli, serve da scenografia ad un pubblico impegnato a filmare e postare gridando al web che sono li in quel momento, piuttosto che a ballare o ascoltare con attenzione, per cui il concetto della rockstar che vent’anni di clubbing-culture si era affannata a cancellare, si è riproposta in un a forma ancora più pacchiana e circense. Per fortuna c’è un effetto “rebound” a tutto questo e come al solito lo scenario è quello dei piccoli club frequentati da appassionati, che stanno giovando dell’essere “bastian contrari” rigettando certe forme di marketing e certe “ricette” musicali che sanno di merendina industriale”.

“I DJ italiani sono superiori mediamente al resto del mondo per sensibilità, senso della “pista”, creatività, ricerca, ma ultimi della classe in quanto a capacità imprenditoriali. Non abbiamo partecipato in massa al “banchetto” dello sfruttamento commerciale dell’elettronica e i suoi derivati, ma non siamo tra i responsabili del depauperamento che la scena ha subito con lo strapotere delle agenzie di booking, con i cachet iperbolici e ingiustificati, con i cartelloni zeppi di loghi”.

 

 

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