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Nanni Moretti, il film “Il sol dell’avvenire”

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(rollingstone.it)
Il cinema che Moretti mette dentro Il sol dell’avvenire è funzionale a dirci chi è lui, chi siamo noi, in questo momento. C’è Lola di Jacques Demy, e La caccia di Arthur Penn, e un lungo studio sull’estenuante scena dell’omicidio in Breve film sull’uccidere di Kieślowski. E c’è Fellini: La dolce vita; il circo e I clowns; 8½. Ci sono tantissime comparsate che fanno molto ridere, e l’ossessione per Netflix, il monopattino al posto della Vespa, e “mia madre” evocata almeno due volte, e Tenco, Battiato, Noemi, Joe Dassin. E il ballo. Il sol dell’avvenire sembra un oggetto arrivato da un altro tempo per spiegarci cosa abbiamo perso, cosa stiamo ancora perdendo, mentre siamo impegnati a correre instancabilmente. Il sol dell’avvenire ci dice che esiste un tempo per ordinare, scompaginare, andare in crisi, ricominciare, piangere, lasciarsi, schierarsi, ripensarci, ammorbidirsi, ballare. C’è tutto insieme. La crema allo zenzero e gli antidepressivi, i sabot e il suicidio, le piscine e le distrazioni da smartphone, la Storia fatta con i “se” e il quartiere Mazzini, la tragedia greca e il musical, la tessera del partito e la lampada rossa in una casa presa in affitto, i riti che possono finire e il camminare sopra corde tese, le lacrime e i silenzi, entrambi d’amore. C’è Nanni, ci siamo noi.

(cineforum.it)
Il sol dell’avvenire è un film sul tempo. Lo dice anche il protagonista Giovanni, interpretato da Moretti, alter ego impegnato nelle riprese di un film ambientato in una sezione del PCI di Roma durante l’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, mentre nuota e pensa a un altro film da fare, tratto dal racconto Il nuotatore di John Cheever.

Il punto di svolta del film – e della visione che Giovanni/Nanni ha di sé e del suo cinema – avviene in una lunga sequenza in cui il regista, in visita sul set dell’opera seconda di un giovane regista prodotto da sua moglie (Margherita Buy), interrompe le riprese di una scena violenta e costringe la troupe a sorbirsi un’estenuante lezione di otto ore, dalla sera alla mattina successiva, sull’etica dello sguardo che coinvolge i veri Renzo Piano, Chiara Valerio e Corrado Augias e a un certo punto pure Scorsese.

(sentieriselvaggi.it)
Il sol dell’avvenire è totalmente ripieno del cinema di Nanni Moretti degli Anni ’80. I suoi anni “migliori”, il decennio in cui ha realizzato più film. Ecco Giovanni, il protagonista regista, contrariarsi per le scarpe sbagliate dell’attrice del suo film, come in Bianca, ma tutto il film è un continuo rimandare a Sogni d’oro, Palombella rossa.

Il film di Moretti appare come imbrigliato da un passato pesante (la Guerra Fredda, Il Comunismo, la rivolta ungherese del ’56), da un presente confuso (il rapporto con la moglie che è in crisi, le nuove generazioni di registi, le nuove pratiche distributive e “concettuali” delle piattaforme streaming), e da un futuro che, quasi inevitabilmente, può essere solo un sogno. Eccolo dunque, questo “magnifico settantenne” che, mentre si guarda invecchiare allo specchio, comincia a sognare un “meraviglioso passato”.

(cinefilos.it)
Il sol dell’avvenire, tra commedia e dramma, rappresenta una summa del Moretti regista, della sua concezione di cinema e del rapporto con gli attori, ma anche del Moretti uomo dai saldi principi, faticoso nei rapporti, scaramantico, con le sue idiosincrasie, sarcastico e tagliente. Il film rappresenta anche un momento di autocritica e riflessione su sé stesso, soprattutto per quel che riguarda affetti e relazioni. Senza tralasciare la passione politica che ha sempre contraddistinto il regista.

Il sol dell’avvenire sembra una summa di tutti i lavori più iconici di Moretti: da Ecce Bombo a Sogni d’oro, da La messa è finita, a Palombella rossa. Il film sembra la chiusura di una fase, se non di una carriera, cosa fermamente smentita dal regista.

Ciò su cui invece il regista pare riflettere è il sé privato. La convinzione iniziale di essere “delizioso” lascia il posto al dubbio, alla messa in discussione di sé, alla consapevolezza di un carattere non facile e a un tentativo di ammorbidimento di alcuni aspetti, alla ricerca di un dialogo, per andare incontro a degli affetti che non vuole perdere.

Da un regista politico non ci si poteva non attendere un riferimento alla politica in senso stretto, alla sinistra verso cui, da elettore e cittadino, Moretti è sempre stato critico in maniera costruttiva. Qui Moretti richiama sarcasticamente “il sol dell’avvenire” garibaldino prima e partigiano poi, non ancora apparso all’orizzonte.

Il cast de Il sol dell’avvenire: Barbora Bobulova, perfettamente integrata nel gruppo; Margherita Buy, al quinto film con Moretti, riesce ancora a creare un bilanciamento perfetto con il regista e attore, facendo da contrappeso alla sua figura ingombrante, ricavandosi anche uno spazio più ampio; Silvio Orlando interpreta sé stesso ed Ennio con la consueta misura, ma anche con dei guizzi espressivi degni di nota; Mathieu Amalric nel ruolo di un eccentrico amico finanziatore; Valentina Romani è reduce dal successo di Mare Fuori; Blu Yoshimi, molto intensa ed efficace; Giuseppe Scoditti.

La colonna sonora: il Franco Battiato caro a Moretti, De André, Luigi Tenco, Noemi, Aretha Franklin.

(movieplayer.it)
La storia principale segue la figura di Giovanni, regista alle prese con il suo nuovo film insieme alla moglie produttrice Paola, parallelamente ci viene mostrato anche il flusso narrativo dell’opera a cui sta lavorando, ambientata nel 1956 al tempo dell’invasione russa di Budapest e concentrata sui riflessi di quell’evento sul Partito Comunista Italiano e il circolo locale di cui fanno parte Ennio e Vera. Due coppie per due piani narrativi diversi che si muovono paralleli ma finiscono per intrecciarsi e sovrapporsi, mentre le vicende personali di Giovanni lo portano a riflettere e intervenire sul film a cui sta lavorando e sognare i suoi progetti successivi.

Non è una sorpresa che Nanni Moretti funzioni alla perfezione come meccanismo principale degli ingranaggi narrativi dei propri film, di storie che attorno al personaggio che lui interpreta ruotano ed evolvono. Né sorprende il valore aggiunto di interpreti come Margherita Buy, qui calata con misura nella moglie e produttrice di Giovanni, e Silvio Orlando, magnifico come sempre nel dettare i tempi del comunista convinto Ennio, nel 1956 ricreato per il film firmato da Giovanni. Ugual valore hanno i comprimari, in particolare il lavoro di Valentina Romani nei panni della figlia di Giovanni e Paola, ma anche di Blu Yoshimi e Michele Eburnea.

Ne Il sol dell’avvenire c’è il Moretti che più amiamo e abbiamo imparato a conoscere nel corso del tempo e della sua carriera, che conferma una consapevolezza del mondo che lo (e ci) circonda in tutte le sue sfumature, peculiarità e derive. C’è il drammatico spettro della guerra, l’ironia feroce nei confronti delle piattaforme e i loro esponenti, un nuovo attacco nei confronti di un certo cinema di genere che mette in scena la violenza senza metterla al servizio di un discorso più ampio e sofferto. Ci sono i tic, le idiosincrasie, le manie che tanto amiamo in un film che ha il sapore di una summa del cinema di Moretti, un punto di arrivo e forse di ripartenza verso qualcosa di diverso.

(vanityfair.it)
Un film che è la summa dei morettismi che conosciamo, quelli di Aprile, Caro diario, Bianca, lontano dagli ultimi lavori di Tre piani e Mia madre. Nel Sol dell’avvenire c’è tutto il concentrato dei suoi tic, delle ossessioni, dei temi cari all’autore: la politica, in particolare la riflessione sul comunismo, la psicanalisi, l’ironia e l’autoironia, l’amore per il cinema e le canzoni italiane, la dimensione del metafilm, le battute fulminanti sull’attualità, le relazioni complicate, i giri per Roma, le sparate su dettagli apparentemente futili (qui la condanna dei sabot e delle pantofole).

Ci sono scene memorabili che entrano nell’immaginario morettiano all’istante, come quella in cui Giovanni interrompe una scena stereotipata di omicidio del film che sta producendo la moglie e chiama, letteralmente, Renzo Piano, Corrado Augias, Chiara Valerio e Martin Scorsese a riflettere sulla violenza gratuita nel cinema. O quella in cui, all’appuntamento con un gruppo di dirigenti di Netflix, asfalta la logica dell’algoritmo che decide a che minuto deve esserci il colpo di scena.

(wired.it)
Il sol dell’avvenire è tre film in uno, una matrioska cinematografica fatta di continue autocitazioni che strizza l’occhio al pubblico con il chiaro intento di divertirlo. Qui Moretti inanella una serie di sketch molto gustosi e infarciti di musiche in cui prende in giro tutti, compreso sé stesso. Lo vediamo fare di tutto: cantare a squarciagola senza intonarla Sono solo parole di Noemi, cadere dal divano per mimare un film, ballare in auto sulle note di Think di Aretha Franklin, discutere animatamente con Netflix, brindare con i produttori coreani, girare la sera a bordo di un monopattino, elencare gli antidepressivi che prende e  addirittura sistemarsi un cappio attorno al collo. E’ un film-testamento sulla morte della politica, del cinema, dell’amore, della morale.

(harpersbazaar.com)
Il sol dell’avvenire è un film sul cinema, un film esistenziale che arriva a parlare di morale e di politica. Lo fa raccontando soprattutto che cosa sta a cuore a quelli che ancora vanno al cinema, che hanno ben presente il ricordo di un tempo non troppo lontano in cui l’egemonia del cinema era salda e non perché i singoli film fossero tutti più belli di quelli di adesso ma proprio perché andare al cinema faceva parte delle cose della vita. Moretti entra anche nel merito della qualità del cinema e in una lunga scena ci fa capire che da anni siamo immersi, circondati, contaminati da troppo cinema di merda (scusate). Il cinema di oggi con i suoi mille pubblici segmentati, pilotati da algoritmi famelici, non ha nulla più a che vedere con quello che il cinema è stato per la generazione di Moretti.

(today.it)
Il Sol dell’Avvenire vi farà ritrovare i temi e le ossessioni cari al regista. Nanni Moretti mette tutto sé stesso in questo nuovo lavoro, con in più la maturità di un uomo ormai alla soglia dei 70 anni. C’è anche questo tema, gli effetti del tempo che passa, infilato semi nascosto, tra le pieghe di questo nuovo lavoro. Al centro de Il Sol dell’Avvenire ci sono le riflessioni sulla politica e sul cinema, le due grandi passioni del regista romano, filtrate dalla sua esperienza biografica in cui si riconoscono molti della sua generazione che pensavano, o pensano ancora, che il personale è politico. Il centro del film è la riflessione storica e sul lavoro del cineasta, il valore dell’arte, il rapporto tra etica ed estetica.

(ciakmagazine.it)
Moretti rende omaggio a Fellini, canta e balla sulle note di alcune delle canzoni italiane con le quali vorrebbe realizzare un musical, riflette sul senso dell’amore e della militanza politica, si mette in gioco con autoironia, ma continua a sottolineare l’inaccettabile, sfoggiando una grandissima libertà narrativa, la vera forza di questo film che fa ridere moltissimo e piangere di commozione.

(ilgiornale.it)
Con “Il Sol dell’avvenire” Moretti dipinge un paesaggio cinematografico in cui coesistono la fine di un sogno, di un ideale, ma anche di una relazione. Moretti non si risparmia e fa di tutto: ammissioni di colpa, autocitazioni aggraziate dei suoi vecchi film, passeggiate notturne in monopattino elettrico e perfino discettazioni di etica ed estetica del cinema con un collega della nuova generazione. Sviluppa riflessioni esistenziali a partire da certe buffe banalità del quotidiano. Mette alla berlina gusti e tendenze del pubblico, inchioda la versatilità estrema di una certa intellighenzia italiana, confeziona l’esilarante vilipendio delle logiche commerciali di Netflix, infine critica l’irresponsabile rappresentazione della violenza.

Il regista riesuma l’immaginario post-sessantottino, ne indaga ideali e successive disillusioni. Racconta attraverso la soluzione del metacinema come sia svegliarsi dal sogno comunista rilevandone la fallacia intrinseca. Ad un certo punto, proprio per ripulire l’immagine del partito amato, si dà al revisionismo storico e riscrive il passato.

Moretti si culla ancora in ostinazioni eccentriche di varia natura e, per sopravvivere ai brutti pensieri, ricorre a piccoli salvavita come la fantapolitica, le canzonette, i balli di gruppo o un pallone da calcio.

“Il Sol dell’avvenire” racconta di un uomo schiacciato come tanti dalle incertezze sul domani, che dapprima accarezza l’idea dell’uscita di scena, poi invece si dà al ballo della vita. L’antidoto alla depressione, sembra dire il film, è nel riuscire a sorridere del pastiche tragicomico in cui siamo immersi. Solo così si può continuare a credere nel domani.

(ilsole24ore.com)
Moretti guarda al passato per comprendere il presente e riflettere sul futuro. Ragionando malinconicamente sullo scorrere del tempo, Moretti firma un film dove il suo personaggio è un Michele Apicella invecchiato, con tantissime (auto)citazioni che rimandano ai lungometraggi della prima parte della sua carriera. Il regista affronta temi a lui cari da sempre come la politica e il rapporto di coppia, soffermandosi sulla psicoterapia e, naturalmente, sul cinema, concedendosi anche lo sfizio di lanciare una frecciatina alla piattaforma di streaming più famosa degli ultimi tempi, Netflix. Gli appassionati del cinema del regista rideranno e si commuoveranno, all’interno di una vera e propria girandola di emozioni in cui si alternano stili e registri. I tempi comici sono perfetti, ma sono altrettanto incisivi i passaggi più amari in questa pellicola di grandissima umanità e che rappresenta una delle opere più personali in assoluto di tutta la carriera del regista classe 1953. “Il sol dell’avvenire” è tanto un film sul cinema, quanto un film sulla vita in generale, capace di ragionare con grande forza su concetti esistenziali che Moretti affronta con coraggio e sentita partecipazione.

Nanni Moretti
“A metà anni 80, quando si realizzavano pellicole fintamente internazionali che dovevano piacere a tutti e invece non piacevano a nessuno, ho creato la Sacher per fare film radicati nel territorio. Successivamente, quando con l’arrivo del Vhs cominciarono a chiudere le sale, io ho aperto il mio cinema. Anni fa, quando gli esordienti non se li filava nessuno, ho iniziato la rassegna Bimbi belli. E ora, in un momento di difficoltà per le sale, faccio film per chi va al cinema”.

 “Il cinema italiano è vivo. Autori e film ce ne sono, manca la cura. Troppi film sono mandati allo sbaraglio, senza l’attenzione dovuta. Il pubblico non capisce più cosa sta uscendo al cinema”.

“Tutti i miei film sono personali. Tornano temi e personaggi che ho affrontato nel mio cinema precedente, ma la recitazione, la regia e la scrittura sono diversi perché con il tempo si cambia”.

 “Roma è sempre stata lo scenario naturale dei miei film. Le mie prime opere sono a tutti gli effetti “film romani”. Senza volerlo ho raccontato un luogo, oltre che un ambiente politico, sociale e generazionale. Ho girato i miei film in quel posto così preciso geograficamente, Roma Nord, quartiere Prati, perché rappresentava la destinazione naturale delle storie che mi venivano in mente”.

 “Ho cominciato a 19 anni, con amore e passione per il cinema. Consideravo e considero il cinema l’unico mezzo con il quale riesco a comunicare. Comperai la mia cinepresa per centomila lire perché era l’unico modo per fare cinema. L’unica cosa che mi piace è fare cinema. L’ho capito guardandomi intorno”.

 “Nel dicembre 1976 usciva in un cineclub romano, il Filmstudio, Io sono un autarchico. Doveva essere proiettato per due giorni e poi invece è rimasto in programmazione molti mesi. Un grande successo all’interno del piccolo mondo dei cineclub”.

 “Un film non è un cruciverba, non c’è la soluzione, non deve portarla il regista. Il cinema è un mezzo espressivo che si presta a più interpretazioni. Sarà capitato a tutti di rivedere un film, anche a breve distanza, e sembra completamente diverso”.

 “Sono stato e sono regista, produttore, distributore, esercente, direttore di festival. Non ho mai fatto tutto questo per dovere ma per piacere. Ho prodotto i primi film di Mazzacurati e Luchetti. Ho attraversato vari mestieri per piacere e anche perché mi sembrava un modo di completare il mio lavoro di regista”.

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