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Russell Crowe

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“Sono nato in Nuova Zelanda. Vivo in Australia, in una fattoria, a sei ore e mezza di macchina da Sydney. Sono cresciuto in mezzo agli immigrati”.

“Ho esordito sul set ai sei anni. Da ragazzo mi sono dedicato alla musica, suonando in una band. Poi sono passato al teatro, classici come Shakespeare, ma soprattutto musical, Grease, Rocky Horror Picture Show. Per mantenermi ho fatto anche il dj, il barman, il cameriere. A 25 anni è arrivata l’occasione della vita, una piccola parte in Blood Oath, un film di guerra, una piccola parte”.

“Nel mestiere di attore è importante avere l’ego. Recitare è anche convivere con la delusione, con il fallimento, digerire che un lavoro che sognavi è finito a qualcun altro. L’ego aiuta a difenderti, è uno scudo, un’intercapedine tra te e la delusione. Un attore deve saper sottomettere sé stesso al personaggio”.

“Noi attori australiani abbiamo una profonda formazione culturale che inizia fin dalle scuole. Questo si riflette anche nel nostro lavoro. Prima di avere successo facciamo molto teatro e molta gavetta. Mel Gibson, per esempio, è un ottimo attore teatrale, il suo Amleto è stato il migliore portato sul grande schermo”.

“Sono molto legato a Roma. “Il Gladiatore” è un film che ha vita propria. Sono passati più di venti anni da quando è stato realizzato, e ancora oggi viene trasmesso in qualche tv. Questo conferma il valore dei film di Ridley Scott, il suo essere sempre vanti con i tempi”.

“Non sono un drogato da news. La mattina mi piace sfogliare le pagine dei quotidiani. Però ho imparato a diffidare dei giornali, per esperienza diretta. Per esempio, mi è capitato di leggere che ero in un locale notturno a New York mentre me ne stavo tranquillo, tra i cavalli della mia fattoria”.

“Il mio ruolo in A Beautiful Mind è quello che mi ha fatto “impazzire” di più. Abbiamo rappresentato gli aspetti fisici della patologia, con i vari tic che si sviluppavano, fino ai 16 che il protagonista aveva contemporaneamente. Da un punto di vista fisico Cinderella Man è stato il film più difficile. Abbiamo girato per sette settimane di cui 36 giorni sotto la pioggia di scena. Ricordo che era inverno e l’acqua che mi veniva gettata era molto fredda. Les Miserables è stata una delle più grandi esperienze della mia vita. Andare sul set per cantare e recitare è stato fantastico. Poi però quando ho visto il montaggio finale alla prima, a metà film sono andato via. Il lavoro fatto in post produzione al mio personaggio non è stato granché. Non è stata inserita l’esperienza che io avevo messo sul set”.

“Io amo i dialoghi, mi innamoro delle battute che devo recitare. Il cinema è un mezzo di narrazione, si raccontano storie. Non ambisco ad avere un ruolo che è andato a un altro collega o essere il millesimo attore che fa Shakespeare. Preferisco fare una cosa per la prima volta”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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