Ennio Morricone (Roma, 10 novembre 1928 – Roma, 6 luglio 2020)

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Quando il 26 febbraio 2016 la sua stella è stata impressa nella Walk of Fame, Morricone ha dichiarato: “Una colonna sonora deve piacere sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica”.

“Scrivere musica è un’attività solitaria. La musica esige che prima si guardi dentro sé stessi, poi che si esprima quanto elaborato nella partitura e nell’esecuzione. Il risultato di questo lavoro raggiunge chi lo ascolta”.

“Io e Sergio Leone siamo stati compagni di scuola. I film western all’epoca erano considerati un genere minore. A quelli prodotti in Italia venne data l’etichetta di “spaghetti western”. Spesso si trattava, invece, di pellicole straordinarie. Avevamo fatto le elementari insieme. La prima volta che entrò a casa mia, chiedendomi la colonna sonora di “Per un pugno di dollari”, glielo ricordai ma non ci credeva. Allora gli mostrai la foto della terza elementare. Nacque subito un feeling. Di solito ci intendevamo, però poteva essere insicuro. Ascoltava i temi al pianoforte e poi, dopo una settimana, tornava con la moglie o altri familiari per risentirli. Voleva anche i temi scartati dai registi con cui avevo lavorato. Non hanno capito niente, diceva, li prendo io. Sergio Leone ha capito che la musica non andava mescolata ad altri elementi sonori. Deve essere protagonista assoluta e necessita di una durata adeguata”.

“I miei musicisti preferiti in campo classico sono: Giovanni Pierluigi da Palestrina, Claudio Monteverdi, Igor Stravinsky e Goffredo Petrassi, il mio maestro”.

“Sono un grande estimatore del gioco degli scacchi. Ho fatto parte della seconda categoria nazionale della Federazione Scacchistica Italiana. Mi piace perché è un gioco di strategia. La passione è nata leggendo i libri di Carlo Salvioli, poi approfondendo e studiando con Stefano Tatai. Una volta partecipavo anche a tornei. Una delle volte è stata a Torino per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Mi è capitato di incontrarmi con i più grandi: Fischer, Kasparov, Spasskij”.

“L’Oscar alla carriera è stato un momento indimenticabile, soprattutto perché l’ho dedicato tutto a mia moglie. La vedevo da lontano e lei fissava me con lo sguardo. Probabilmente quella serata è stata speciale proprio per il significato di quella dedica”.

 

L’incontro con Pier Paolo Pasolini. “Pasolini arrivò da me per “Uccellacci e uccellini”, il film con Totò. Mi diede una lista di brani da inserire e io gli dissi: mi diverto ancora a scrivere la mia musica, è venuto dalla persona sbagliata. Poi mi lasciò libero di comporre. Abbiamo fatto insieme cinque film. Però voleva che ci mettessi, per questioni scaramantiche, una musica persistente. In “Uccellacci e uccellini” fu il tema di un’opera di Mozart. In “Teorema”, sempre per superstizione, volle il Requiem mozartiano e io ne misi una citazione nascosta nelle dissonanze”.

“Da bambino ero soprannominato “fastidio” . I miei genitori e i miei nonni mi chiamavano così perché ero un rompiscatole, non ero mai contento” .

“Ricordo che volevo fare il medico. Il mio pediatra, Professor Ronchi, curava anche i figli di Mussolini . Vedendo come era tenuto in considerazione, mi immaginavo che sarei potuto diventare un dottore anche io” .

“Mio padre era un bravissimo trombettista, capace di suonare di tutto: jazz, musica sinfonica e da camera . Ho iniziato molto presto a seguirlo nei locali dove suonava” .

“A Roma, quando ho cominciato a esibirmi, c’erano ancora i tedeschi. Poi sono arrivati gli alleati. Suonavo in due alberghi: al Mediterraneo, in via Cavour vicino la Stazione Termini, e al  Massimo D’Azeglio. Con la proclamazione della Repubblica ho cominciato a lavorare al Teatro Sistina . Avevo diciotto anni . Suonavo, studiavo musica, e facevo anche le sincronizzazioni delle musiche per il cinema” .

 

Ennio Morricone, negli anni ’60, viene chiamato dalla casa discografica RCA per arrangiare una canzone di Gianni Meccia: “Il barattolo”. “Nel cinema scrivevo la musica dopo aver discusso la storia del film con il regista. Alla RCA mi davano un motivetto con delle melodie e delle armonie, che spesso dovevano essere corrette. L’opera dell’arrangiatore assumeva un’importanza fondamentale. Ho lavorato con Gorni Kramer e Lelio Luttazzi, in una trasmissione intitolata “Nati per la musica”. Ho collaborato anche con le orchestre di Carlo Savina, Brigada, Angelini, Fragna, e Canfora”.

“La colonna sonora di “Mission” è un lavoro miracoloso. Mi è uscito dalla penna senza volerlo. In quel film sui Missionari gesuiti del XVII secolo in Sudamerica sono riuscito a fondere tre temi diversi tra loro: la musica strumentale del Rinascimento, le melodie del periodo della Riforma del Concilio di Trento, le musiche dei nativi americani. Ho lavorato duro, ma alla fine è venuto fuori un miracolo tecnico” .

“Sono entrato al Conservatorio di Santa Cecilia, a Roma, molto giovane e ne sono uscito a 26 anni. Ho studiato composizione, tromba, musica corale, strumentazione per banda. Il primo maestro che ho avuto è stato mio padre, trombettista. Ho iniziato lavorando per la radio e per la televisione, come arrangiatore e orchestratore. Poi ho incontrato Luciano Salce che mi ha proposto di scrivere le musiche de “Il federale” e “La voglia matta”. Dopo sono arrivate le altre richieste”.

“L’ispirazione è un’illusione della gente. Veramente importanti sono: cultura, tecnica, studio, volontà. L’idea è solo una minima parte della fase compositiva”. “Per me il momento migliore per comporre è la mattina. Mi alzo presto e vado a letto non tardi”

“Le colonne sonore che ho amato di più sono: C’era una volta il west, Giù la testa, C’era una volta in America, Il clan dei siciliani, Metti una sera a cena, Mission, The Untouchables, Novecento, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”.

 

“Quando sono sul podio posso avere anche centomila persone alle spalle, ma non me ne accorgo. In quel momento sono molto concentrato, è come se fossi solo. Quando arrivano gli applausi conclusivi, il miracolo s’è ripetuto un’altra volta. Posso passare anch’io dalla parte del pubblico. Anni fa i concerti erano molto più rari. Ma da qualche tempo la richiesta è diventata maggiore. Non mi  sottraggo al pubblico. Mi emoziono sempre quando dirigo un’orchestra perché non è il mio vero mestiere. Però l’aver scritto quelle musiche mi dà una certa tranquillità”.

“Da quando, negli anni ’60, ho iniziato a comporre colonne sonore, sono cambiato io, il pubblico è diventato più esigente nell’ascolto. Siamo passati dall’alta fedeltà, alla riproduzione sempre più perfetta del suono”.

“Mi piace il calcio. Sono tifoso della Roma”.

“La musica e il cinema sono un matrimonio. La musica aggiunge qualcos’altro alle immagini e per il suo significato deve essere sola rispetto ad esse. La musica si può apprezzare solo al volume giusto, non come sottofondo del sottofondo”.

Quentin Tarantino, Sergio Leone. “Tarantino è sfacciato, ti dà carta bianca. Sergio invece aveva bisogno di essere rassicurato dal giudizio degli altri”.

 

“Cerco di instaurare un rapporto intenso con tutti i registi perché ho bisogno di sentire la loro stima, la fiducia, altrimenti mi riesce difficile lavorare. Ci deve essere l’illusione di essere essenziali. L’incentivo a lavorare bene non può venire solo da sé stessi”.

“Ho un piccolo rimpianto, non aver potuto lavorare con Stanley Kubrick per  “Arancia Meccanica”. Eravamo d’accordo su tutto, anche sulle clausole contrattuali. Ma poi non ho fatto il film perché ero impegnato col missaggio de “Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo” di Sergio Leone”.

“Un regista una volta mi ha chiesto di rifare Ciaikovskij. Gli ho attaccato il telefono in faccia e non ho più lavorato con lui. Devo illudermi di inventare la musica per il film, anche se scaturisce da tradizioni, cultura e cose che amo. L’illusione della mia essenzialità ci deve essere, altrimenti prendano ciò che già esiste e lo mettano nella pellicola”.

 

 

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