Fatboy Slim

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“Sono orgoglioso di aver contribuito a far conoscere la dance elettronica al grosso pubblico. Ho assistito alla crescita di questa scena musicale, dai club underground ai grandi festival. Ricordo quando al Glastonbury Festival è stato allestito un grande tendone dedicato esclusivamente a questo genere.  E’ lì che è iniziata la mia scalata al successo”.

“La house music ha preso il nome dal Warehouse Club a Chicago, la garage music dal Paradise Garage a New York, il big beat è nato nel mio club, il Big Beat Boutique di Brighton”.

“Sono cresciuto ascoltando i Beatles. Da adolescente ho assistito all’esplosione del  punk rock. Sono diventato dj con il boom dell’hip hop, suonavo nei club di acid house. Mi sono allontanato dall’hip hop quando è diventato gangsta, troppo aggressivo. L’ho sempre apprezzato come musica per i block parties, la daisy age”.

“C’è stato un periodo della mia vita artistica e personale in cui sono stato un personaggio distruttivo, irresponsabile. Ho avuto tanti nomi, tanti progetti, ma non pensavo che il nome Fatboy Slim mi avrebbe portato così tanta fortuna”.

“Il lavoro del Dj è per sempre. Ci saranno sempre ragazzi che si vogliono divertire. I Dj non sono come i calciatori o le pop star. Dietro la console non importa quanti anni si hanno, l’importante è reggere col fisico, riuscire ad arrivare alle 6 del mattino, facendo divertire la gente. A nessuno di quelli che vengono ad ascoltarci interessa quanti anni abbiamo. I dj hanno una vita più lunga di una boy band. Questo è il miglior lavoro del mondo”.

augusto.sciarra@radiotolfaeuropa.it

 

 

 

 

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