Francesco De Gregori festeggia 70 anni

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(repubblica.it)

Francesco De Gregori. Il ‘Principe’ dei cantautori compie 70 anni. Molti di noi sono cresciuti con la sua musica che, fatto rarissimo, si è trasmessa anche alle generazioni più giovani.

Nato a Roma il 4 aprile 1951, inizia a suonare al Folkstudio di Roma dove conosce, tra gli altri, Antonello Venditti, con il quale pubblica il primo album nel 1971 (‘Theorius Campus’). Il debutto da solista è nel 1973 con ‘Alice non lo sa’ ma il vero successo arriva due anni dopo con ‘Rimmel’, uno dei dischi più venduti del decennio. Nella sua carriera ha pubblicato 21 album in studio più 16 live, testimonianza delle sue esibizioni dal vivo e delle tournée condivise con amici e colleghi, da Lucio Dalla a Pino Daniele. Le sue canzoni sono piene di riferimenti letterari, storici, politici.

Quando uscì, Buonanotte fiorellino divise subito il pubblico: “Venni subito accusato, era il ’75, di essere sdolcinato, piccolo borghese, perché bisognava scrivere le canzoni che parlavano al movimento. Io invece avevo fatto questa storiella d’amore. In realtà era proprio il contrario: era una caricatura della sdolcinatezza mentre raccontava in realtà una storia dolorosa perché era la fine di una relazione con annessi sangue, sudore e lacrime”. “Ho fatto un album intitolato Left & Right che non è nemmeno mixato: sono solo i canali del banco presi e masterizzati, ed è uno dei miei preferiti”.

(ilfattoquotidiano.it)

Vasco Rossi sul Fatto Quotidiano racconta il “suo” De Gregori: “Egregio Maestro, carissimo Francesco. Mi guardo attorno e resti il migliore”.

“De Gregori è uno dei più grandi cantautori italiani, le sue canzoni sono sempre state per me fonte di grande piacere e di ispirazione. Lui ha cominciato prima di me e molto prima di me ha trovato la sua strada, quella della canzone d’autore, io l’ho trovata un po’ dopo la mia, quella del cantautore rock, del rocker e della rockstar. Non avrei mai immaginato che un giorno mi avrebbe reso un attestato di stima con la sua interpretazione di Vita spericolata, tra l’altro bellissima “alla De Gregori”. Per me è stato come ricevere un Oscar”.

“Conoscevo tutte le sue canzoni, negli anni in cui avevo la radio, Punto Radio 75/76, le mettevo sempre nel mio programma sulla musica italiana d’autore. Ai tempi facevo radio, non cantavo ancora, strimpellavo la chitarra e cominciavo a scrivere le mie prime canzoni. Ispirandomi anche alle sue, naturalmente. Ma le canzoni di De Gregori sono dei gioielli di scrittura unici e inimitabili. Lui sì che è un poeta. Anche se non gli piace che lo si definisca così, e giustamente perché lui scrive canzoni d’autore, rimane un fatto che lui scrive dei testi che sono poesia pura”.

“Ricordo sempre quella volta a Roma quartiere Prati, ero ancora agli inizi carriera, stavo andando dall’albergo alla Rai per promozione, quando una macchina si ferma, si apre lo sportello e scende dall’auto De Gregori per salutarmi. Un grandissimo onore per me, allora e tuttora, godere del suo affetto”.

(adnkronos.com)

Il prof Vecchioni: “De Gregori ha fatto didattica a distanza attraverso i testi dei suoi brani”

“De Gregori è l’antesignano del linguaggio transmediale nelle canzoni: lo ha inventato dal niente, senza attingere tecnicamente né dalla poesia né dal canto popolare; ha ideato una lingua precisa per nobilitare la canzone, è il primo ad aver nobilitato letterariamente la canzone, usando tutti quegli accorgimenti della letteratura, le figure di pensiero come la metafora e la metonimia, in maniera popolare e rendendole popolari in quanto dirette, spicce, veloci”.

“Ha fatto didattica a distanza, senza il computer e internet, attraverso i testi dei suoi brani. La cifra letteraria di De Gregori è altissima, sicuramente una delle più elevate nella canzone d’autore italiana, sullo stesso piano di Fabrizio De André”.

 

Parole & Musica: Francesco De Gregori

“Ligabue una volta venne a trovarmi nel backstage, abbracciandomi. Improvvisamente le mie quotazioni presso amici e figli si impennarono”.

“Ascolto Dylan e Cohen e non trovo un granello di falsità nella loro musica. Bob Dylan non stravolge le canzoni come dicono, le reinterpreta. Del resto la sua voce è cambiata, lui ha mutato lo stile, è accompagnato da altri musicisti, ha passioni musicali differenti rispetto al passato. È quello che dovrebbe fare un musicista libero, a qualunque età”.

“Verso l’inizio degli anni 70, a parte alcuni esempi fantastici tipo Gino Paoli o Sergio Endrigo, il mondo della musica leggera era fatto di autori e di interpreti. C’erano i grandi autori di canzoni, i grandi parolieri, poi c’erano gli interpreti che potevano essere: Iva Zanicchi, Caterina Caselli, o Mina. E poi c’era una pattuglia di autori che andavano da Pallavicini, a Mogol. C’erano poi Paoli, De André che era poco conosciuto, alcuni che venivano definiti cantautori. Con me, Edoardo Bennato, Antonello Venditti, Claudio Baglioni, i cantautori diventano la parte dominante del mercato e dell’attenzione del pubblico giovanile, poi del mercato. In quel momento la musica leggera italiana volta pagina”.

“Tra il 1971 e il 1972, i miei coetanei volevano suonare la chitarra ed esprimersi attraverso la scrittura di una canzone.  I giovani erano attratti dai cantautori come oggi sono attratti dall’hip hop o dal rap. Iva Zanicchi, Gianni Morandi, Caterina Caselli divennero appartenenti al passato musicale. Sono convinto che Lucio Battisti sia stato il più grande cantautore, nel senso che la sua parte autorale nelle cose che faceva è predominante. È stato un autore che ha sparigliato”.

“La mia era una famiglia di bibliotecari, di stampatori. Il primo musicista della famiglia è stato mio fratello. E’ stato lui che ha recuperato dalla cantina una vecchia chitarra del nonno e si è messo a suonare. Senza di lui difficilmente avrei intrapreso questa strada”.

“Non ho fatto il ‘68 e il ‘68 non ha fatto me. Ho visto dei miei amici impazzire, sostenere cose e negarle poche settimane dopo. Non ho mai simpatizzato per le frange alla sinistra del PCI, anche quando era normale farlo”.

“La RCA era una specie di castello medievale a Roma dove c’era tutto: presse per la stampa dei dischi, uffici, studi di registrazione, campetto di pallone, mensa, bar dove passavano Rubinstein e Lou Reed. Lì ho avuto il mio primo e unico incontro con Lucio Battisti. C’erano Baglioni, Cocciante, Renato Zero. Stavamo tutti insieme senza barriere culturali”.

“L’immagine di “Alice che guarda i gatti” appartiene a Lewis Carroll e alle illustrazioni di John Tenniel. Quella bambina con gli occhi sgranati è stato il primo impatto visivo quando da piccolo ho letto il libro. Era un periodo in cui ero attratto da tutto ciò che nell’arte non seguiva un filo logico. Sono stato innamorato degli scrittori dadaisti, Tristan Tzara, la scrittura automatica. Ho letto Joyce, lo stream of consciousness, Freud e l’interpretazione dei sogni”

“Mi piace leggere. Non ho apprezzato solo Kafka, Melville e Proust. Devo gratitudine anche a Grisham, Stieg Larsson, Ken Follett, alla narrativa di genere”.

“Ho amato “Blow up” di Michelangelo Antonioni. Ma soprattutto “Otto e mezzo” di Fellini. Questo film ha influenzato il mio lavoro. Ho importato nel mondo della canzone quel modo di narrare”.

“Bob Dylan mi ha fatto capire come andavano scritte le canzoni: lo stile, l’invenzione, la libertà espressiva. E’ un importante punto di riferimento”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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