Antonella Ruggiero, la discografia, l’album “Come l’aria che si rinnova”

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Da aprile è disponibile (in streaming e download) l’intera produzione discografica (27 album, 372 canzoni) di Antonella Ruggiero. “Come l’aria che si rinnova” è il titolo del suo ultimo lavoro, collezione di 18 brani scritti da Roberto Colombo, tra il 1996 e il 2018, riproposti con nuovi arrangiamenti.

Parole & Musica: Antonella Ruggiero
“Dal 1996 al 2018 sono successe molte cose, ho fatto esperienze molto interessanti: mi sono spostata dal pop alle musiche popolari, sacre, contemporanee di Adriano Guarnieri. Ho camminato tanto all’interno della musica”.

“Il mio interesse per la musica sacra è iniziato quando, a 8 anni, ho ascoltato l’organo nell’antica chiesa di Santa Maria di Castello, a Genova. Ero con mio nonno, l’impatto sonoro mi ha stravolto. Nel 2001 ho iniziato a fare ricerca sui brani legati alla musica sacra nella sua totalità, con concerti in luoghi particolari, come l’unica sinagoga di Berlino rimasta in piedi nella Notte dei Cristalli, a Fez in Marocco dove c’è un festival di musica di questo tipo. Ho fatto ricerca in quella indù, in India”.

“Ho sempre ascoltato musica, i miei genitori l’amavano. A casa si ascoltava ogni genere: opera, canti della montagna della Sat, successi che trasmettevano alla radio, canzoni italiane e straniere degli anni ’50 e ’60, jazz”.

“Fin da bambina mi sono resa conto di riuscire a cantare tutto ciò che ascoltavo con facilità e senso del ritmo. Ma non pensavo di fare la cantante. Ero affascinata dalle arti visive. Poi il destino ha voluto che mi ritrovassi a fare un provino per quelli che sarebbero diventati i miei compagni di viaggio per 14 anni: i Matia Bazar. Tutto è cominciato in quel momento, con me che scelgo quel nome, maschile e femminile allo stesso tempo”.

“Sono affascinata dall’architettura industriale degli stabilimenti abbandonati, delle fabbriche dismesse, le vecchie centrali idroelettriche, i vecchi manicomi. Anche a Berlino, dove ho una casa, vado alla ricerca di questi luoghi che sono per me fonte di ispirazione”.

“Con la mia città ho mantenuto un legame attraverso la musica. Quando canto certe canzoni che parlano di Genova o scritte da cantautori genovesi, con la testa sono là, è come un’immersione nei ricordi dell’infanzia, dell’adolescenza. A 22 anni sono partita insieme al gruppo e da allora l’ho vista sempre meno. Però è rimasta incisa nella mia mente. Ricordo la zona operaia, Cornigliano, il mare di Ponente sempre unto dal nero delle acciaierie. È stato come installare delle ciminiere a Portofino. Nei ricordi mi resta anche la Genova antica, medievale, dove abitavano i miei nonni. La città negli anni si è trasformata, ha cambiato volto, ma dentro di me resterà sempre la Genova dell’infanzia”.

“I 14 anni con i Matia Bazar sono stati straordinari. Ma nel 1989 ho deciso che poteva bastare così. Mi sono presa una pausa di sette anni. Poi sono ripartita con tanti progetti. Dei Matia Bazar ricordo con affetto gli anni ’70, quelli delle canzoni con cui siamo diventati famosi nel mondo. Abbiamo suonato in Russia, in Giappone, Sudamerica, in Europa. I nostri successi erano trasmessi in tutte le radio. Ho amato anche il periodo della svolta elettronica, di dischi come Tango e Aristocratica. Finito il periodo del post-punk, della new wave, dell’elettronica, è cominciato un altro con Ti sento, fino all’89 in cui ho salutato tutti”.

“Le cantanti che ho apprezzato di più sono: Nina Hagen negli anni ’70, le grandi interpreti blues e rhythm & blues. E geli anni ’80 Sade, Kate Bush, e poi Bjork. Tra le artiste italiane ho apprezzato molto Lucia Mannucci del Quartetto Cetra e Caterina Valente”.

“Ho iniziato a studiare e a cantare musica sacra una decina d’anni fa. Mi affascina l’universalità del linguaggio delle note che è in grado di unire popoli e religioni differenti. L’ambiente sacro è diverso rispetto ad un teatro o ad un concerto di piazza, tra le mura di una chiesa le nostre frenesie interiori si interrompono e trova posto la riflessione con sé stessi e con il mondo. Ho avuto la fortuna di organizzare concerti in luoghi straordinari come la Sinagoga di Berlino o in moschee mussulmane. Questo mio percorso mi ha portato in luoghi antichi, ricchi di fascino, che mi regalano dei momenti di umanità ricchi di suggestione e di unione intensa con il pubblico”.

“Vivo tra la campagna lombarda e Berlino, due luoghi opposti dove ritrovo l’energia e la natura. Sono affascinata dai laghi, dai fiumi, dalle montagne. Mi piace disegnare, scrivere, leggere”.

“Il lavoro dei musicisti e degli artisti non può essere costantemente sotto un riflettore. A volte è necessario stare soli con noi stessi. L’arte ha bisogno anche di silenzi”.

“Negli anni ’90 ho viaggiato tanto, sono stata anche in India. Ho lavorato con musicisti indiani, ho vissuto con loro, andando nei templi e ascoltando i raga, i mantra e tutti i suoni di un’India antica. Verso l’inizio degli anni Duemila ho capito che non era più il caso di proseguire con questa esperienza. L’avvento della tecnologia ha cambiato tutto e il mio interesse per questo mondo è finito. Quando ho visto i monaci con il cellulare mi sono detta che era il momento di tornare a casa”.

“Il rapporto tra musica e spiritualità è molto stretto. La musica rapisce mente e cuore e ci riporta alla dimensione della natura. Ascoltando certi autori, in particolare del passato, si può vedere l’acqua cristallina, le foreste del nord Europa, toccare con mano realtà scomparse. La musica, soprattutto quella tradizionale, tocca corde molto intime che hanno a che fare con la natura. La natura mi suggerisce l’esistenza di qualcosa di straordinariamente perfetto, di bello e di geometrico. Dalle pietre al cielo, è la natura che dona alla tecnologia il materiale ed è lei ad avere l’ultima parola su tutto”.

“La sensibilità femminile è un puzzle complesso, indefinibile. Il nostro mondo interiore è spesso incomprensibile per quello maschile, perché legato a qualcosa di atavico. Si pensi ai nove mesi in cui la donna porta avanti la gravidanza, le elaborazioni e i pensieri che avvengono all’interno della sua mente sono estremamente vasti. La maternità è un fatto straordinario, che ha del miracoloso, ma che è anche condizionato prepotentemente dall’istinto. Forse anche per questo l’universo femminile può essere edificante ma anche atroce. La donna è un mistero ed è capace di toccare i cieli più tersi e, al tempo stesso, gli abissi più profondi. M in virtù di questa sua doppia natura ha una forza che l’uomo non possiede e uno sguardo diverso sul mondo”.

“Il palco per me non è mai stato il luogo dove mettermi in mostra, Non amo stare sotto i riflettori e quindi mi concentro. Il palco diventa un luogo di raccoglimento. Da questo stato nasce la mia interpretazione che trasferisco al pubblico attraverso l’emozione. Così i concerti diventano luoghi magnifici, silenziosissimi. È come se mi trovassi in una stanza vuota dove c’è però gente che vive la propria storia con la mia musica”.

 

 

 

 

 

 

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